Usiamo l’arte per realizzare, raccontare e vendere i nostri prodotti nel mondo.

Esistono “posti di lavoro produttivi” e “posti di lavoro di servizio”: per garantire servizi e welfare (cioè costi) dovremo produrre “cose apprezzate da un pubblico pagante”, in grado di competere a livello globale (ricavi). Per questo dovremo usare l’arte per vendere i nostri prodotti nel mondo

I primi sono finalizzati a creare prodotti e servizi “apprezzati” da un pubblico disposto a spendere il proprio denaro per ottenerli; i secondi a garantire servizi di pubblica utilità senza un trasferimento diretto e volontario di denaro da parte del fruitore (istruzione, sanità, amministrazione pubblica, sicurezza etc.).

I posti di lavoro produttivi determinano nel sistema economico un flusso di ricchezza in entrata in relazione al loro apprezzamento (se non sono apprezzati diventano improduttivi); quelli di servizio un flusso di costi in uscita in relazione al livello di qualità che si vuole garantire gratuitamente.

Il sistema sta in equilibrio quando il flusso di ricchezza in entrata è uguale o superiore a quello in uscita, ponendo in evidenza la questione dell’apprezzamento di ciò che viene prodotto. Fiscalmente l’apprezzamento si misura con l’IVA, l’imposta sul valore aggiunto. Un’azienda che paga più IVA di quanta ne incassa non aggiunge valore alla materia prima che acquista e fallisce.

I motivi per cui il pubblico apprezza (dal latino pretium = valore) un prodotto o un servizio sono molteplici. Fino a qualche decennio fa (e per molti sistemi economici lo è ancora) era determinante il valore di utilizzo: il cliente “apprezza” e paga se soddisfa un bisogno primario per cui vale la pena il sacrificio in denaro corrispondente, bisogni alimentari e di protezione/sicurezza.

Nelle società più sviluppate (consumistiche e post-industriali) è diventato determinante il valore emozionale, quanto il bene servizio appaga bisogni sociali, di appartenenza, di autorealizzazione e autostima.

A titolo esemplificativo è indicativo il fatto che nelle società post-industriali si spendono più soldi per dimagrire che per alimentarsi.

Arte e techne

L’apprezzamento di elementi emozionali è facilmente collegabile all’arte intesa sia come bellezza sia nella sua manifestazione più ingegneristica e sorprendente: techne (arte in greco). Entrambe queste forme di arte scaturiscono da processi creativi che vanno dall’invenzione più irrazionale e istintiva alla progettazione più razionale e geniale. Entrambe aggiungono valore a una struttura di valore già di per sé soddisfacente, la aggiungono sopra, “on top of”.

Un esempio. Progettare uno “spaghetto” che cuoce in quattro minuti (pastificio Andalini) presuppone che lo spaghetto da 10 minuti esista già, ma gli si allarga l’orizzonte, creando margini di apprezzamento ancora inespressi da parte di un pubblico che non “ama” o “non può” aspettare sei minuti in più. È chiaro che sei minuti in più nell’arco di 24 ore rappresentano un soffio di inutilità indiscutibile eppure oggetto di apprezzamento da parte di qualcuno. Esempi di “appagamento da inutilità” si possono trovare in tutti i device tecnologici che garantiscono una loro utilità primaria di base ed una loro gratificazione emozionale: smartphone, tv, frigoriferi, automobili, etc. L’automobile che reagisce automaticamente ai pericoli, non viene acquistata per evitare i pericoli, ma perché è un’automobile. Tuttavia “on top of” all’automobile diventa rilevante ai fini dell’apprezzamento, l’aspetto secondario “che reagisce ai pericoli”.

L’apprezzamento di qualcosa “on top of” è legato ovviamente anche al prezzo che non deve essere superiore a ciò che vale l’emozione aggiunta al prodotto di base. Ciò significa che il prodotto di base deve “competere” con i suoi concorrenti per costi produttivi e qualità intrinseca. L’auto che “si accorge dei pericoli” non può costare di più ed essere “peggiore” di un’automobile normale.

A questo punto è utile ricordare che oggi la maggior parte dei prodotti che competono sui mercati internazionali vengono prodotti grazie a processi produttivi altamente automatizzati in cui l’uomo (l’operaio) è quasi totalmente assente.

Seguendo l’esempio degli spaghetti, in un pastificio moderno è possibile assistere ad un intero processo produttivo, dalla farina al pacchetto pronto per lo scaffale, senza l’intervento di alcuna manodopera. L’automazione, insieme alla robotizzazione e all’intelligenza artificiale, riducono la manodopera ai minimi termini, e con essa i posti di “lavoro produttivi esecutivi”.

Gli operai, nella loro accezione novecentesca, scompaiono dai lavori produttivi per essere sostituiti da macchine e robot. Al loro posto si rendono sempre più necessari “lavori creativi”: artisti, design, comunicatori, inventori e progettisti di cose inutili “on top of” a quelle utili.

I posti di lavoro produttivi dovranno quindi essere ricercati nell’arte e nella techne, emozioni e tecnologie in grado di aggiungere valore (o ridurre i costi) dei prodotti. Arte e techne diventano preziosi anche per ridisegnare i processi produttivi e renderli più efficienti.

“knowledge workers” agli “emotion workers”

Nell’evoluzione dei posti di lavoro produttivi, che negli ultimi 40 anni ha visto i “worker” essere superati dai “knowledge workers”, dovrà crearsi una nuova specie di lavoratori: gli “emotion workers” in grado di “animare” prodotti, servizi e processi produttivi come fossero opere d’arte o di estremo ingegno, secondo un modello più vicino a Leonardo da Vinci che a Henry Ford o Frederick Winslow Taylor.

L’effetto che ciò produrrà sull’occupazione produttiva sarà enorme. I posti di lavoro dovranno essere creati nell’ambito dell’arte e della techne, pena il fallimento del sistema (prodotti scarsamente apprezzati e costi crescenti dei pubblici servizi).

In Giappone in cui la techne e la competitività è ai massimi livelli e in cui la disoccupazione è al 2%, l’occupazione è stata creata attraverso l’aumento dei posti di lavoro di servizio. Come a dire ove la tecnologia e l’automazione permettono di competere su prodotti e servizi a pagamento, i flussi di ricchezza in entrata consentono di mantenere un più alto numero di operatori nei servizi pubblici e quindi una maggiore qualità degli stessi.

In Italia abbiamo cultura sia di buona techne (in calo da alcuni decenni, vedi settore auto) che di arte e bellezza. Dobbiamo soltanto orientarle verso posti di lavoro produttivi, creando una classe di “emotion worker industriali” in grado di fare apprezzare i prodotti italiani.

E qui sta il cambio di paradigma che imprenditori, manager, parti sociali e politici dovranno interpretare.

Gli “emotion worker”, i lavoratori ad alto tasso di emotività (motivazione e passione) non sono gestibili con gli approcci tradizionali, non si può loro comandare, ordinare e nemmeno suggerire. Non si aggiunge valore “on top of” a comando, non è possibile “ordinare” a qualcuno di essere creativo o motivato.

È come dire “sii felice!”: impossibile, non funziona. Occorre quindi ispirarli, attivare la creatività riscoprendo il “senso” di ciò che si fa. Che senso ha costruire nuove case quando il 50% sono disabitate? Nessuno, a meno che non si propongano case ecologiche costruite con criteri di sostenibilità ambientale. Che senso ha costruire altre automobili? Nessuno, a meno che non siano rispettose dell’ambiente e facilmente smaltibili e riciclabili. Che senso ha produrre ancora vestiti, mobili o oggetti di arredamento. Nessuno, a meno che non siano opere d’arte o oggetti da collezione. Che senso ha fare tanti soldi attraverso un nuovo prodotto o un processo produttivo rivoluzionario? I grandi tycoon planetari non cercano “soldi”, ma riconoscimento e apprezzamento sociale, vogliono diventare utili all’umanità, diventare filantropi. Dare un senso a ciò che si fa è tipico dell’attività artistica: pittori, scultori, poeti e musicisti riescono a dare senso alle parole, alle immagini, ai materiali, agli oggetti.

Chichiro Tanaka è una formatrice che ha vissuto in Italia e lavora in Giappone. Due anni fa l’ho incontrata a Tokio e le ho chiesto: “cosa insegni ai giapponesi che sono bravi a fare tutto? Cosa possono ancora imparare gli inventori della qualità totale, del kaizen, del kanban e della lean production?” La risposta fu “il senso, dobbiamo riscoprire il senso di ciò che facciamo, solo così possiamo aggiungere valore ai nostri prodotti”.

Conoscete qualcosa che abbia maggior senso di un’opera d’arte? Noi italiani abbiamo un privilegio assoluto, siamo nati e cresciuti nel paese al mondo in cui vi sono il maggior numero di opere d’arte, abbiamo l’arte nel DNA e anche la Techne. Dobbiamo investire in scuole d’arte e di techne per trasformare ogni prodotto o servizio in un’opera d’arte, in qualcosa che sappia appagare anche l’anima rimanendo competitiva sul fronte dei costi.

L’arte (bellezza e techne) sarà l’essenza della nuova occupazione produttiva, l’orizzonte per milioni di giovani. Occorre reinventare tutti i prodotti tradizionali, renderli “belli”, “sani”, “competitivi” e venderli. Il mondo si aspetta questo da noi, non facciamolo aspettare.

Conclusioni

  1. Per garantire servizi e welfare (costi) occorre produrre “cose apprezzate da un pubblico pagante”, in grado di competere a livello globale (ricavi);
  2. Non è possibile competere senza automazione, tecnologia e IT, occorre investire in “techne”(arte in greco);
  3. Automazione, tecnologia e intelligenza artificiale riducono la manodopera produttiva tradizionale (worker e knowledge worker) creando la necessità di “emotion worker”, lavoratori in grado di “animare” (dare un’anima) prodotti, servizi e processi produttivi;
  4. Gli “emotion worker” non si possono comandare o guidare, occorre “ispirarli” fornendo loro un “senso”, una direzione nobile su cui energizzare la loro creatività;
  5. L’arte è regina nel dare senso a parole, musiche, immagini, materiali, oggetti, e noi italiani ne conosciamo il significato più di chiunque altro;
  6. Arte e techne sono facce della stessa medaglia, prodotti dell’ingegno e dell’istinto, mix di passione e razionalità. Il modello da seguire è Leonardo da Vinci; seppelliamo definitivamente Henry Ford, Taylor e magari anche Marx
  7. Usiamo l’arte per realizzare, raccontare e vendere i nostri prodotti in tutto il mondo.

 

Franco Marzo 



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